“Vita al rallenty” è Eleonora Goio: donna, professionista, viaggiatrice, moglie, madre, autrice di libri e poi un giorno Disabile a causa di un’operazione. Una storia – che potrebbe essere anche la vostra – da conoscere attraverso le parole di Eleonora.
È con molto piacere che oggi vi propongo l’intervista di Eleonora Goio autrice di “Vita al rallenty”. Come molte volte accade ho conosciuto Eleonora per caso, leggendo di lei in Internet. La sua storia mi ha subito interessato e ci siamo conosciuti telefonicamente, chiacchierando ci siamo raccontati reciprocamente e ho potuto conoscere la bella storia di Eleonora che è diventata oggi il suo ultimo libro: “Vita al rallenty”.
Pensavo di proporvi un’introduzione importante ma le parole di Eleonora valgono molto più di qualunque mia rappresentazione. Una cosa però la voglio sottolineare subito: Eleonora Goio è da sempre una donna ma è diventata una D-Donna a causa di un’operazione al cervello, questo fa di lei una new entry nel Club Disabilitè, ma soprattutto sottolinea quanto Disabili DOC ricorda spesso, ossia che la disabilità è un evento storico che non rende nessuno immune dal diventare Disabile.
Questo particolare rende la storia di Eleonora adatta a tutti ma soprattutto a coloro che non sono Disabili e che dovrebbero proprio prendere coscienza di un’eventualità che può essere – ci auguriamo di no – dietro l’angolo.
Ora la parola va alla dinamica Eleonora.
D: Buongiorno Eleonora, partiamo dalla domanda “mappamondo”. Chi è Eleonora Goio?
R: Sono un’ex insegnante di educazione fisica, ottimista di natura, con la voglia di mettermi in gioco nei vari ambiti con i quali sono venuta a contatto: dallo sport al lavoro, dallo studio alle passioni del tempo libero, dai viaggi alle relazioni sociali. Ho sempre pensato che la vita vada vissuta intensamente e le occasioni prese al volo.
D: Quando lessi di Te mi interessò subito un’aspetto della tua storia: sei diventata Disabile. Io sostengo da sempre che la disabilità è un “evento storico” che può manifestarsi in qualunque momento. Purtroppo questo concetto non appartiene alla nostra cultura sociale che è spesso distaccata dai problemi dei Disabili quasi se vivesse in una zona franca dove la disabilità non può colpire. Tu, Eleonora Goio, come hai vissuto l’ingresso obbligato nel “Club Disabilitè”? Qual è stata la percezione del passaggio – tecnico – da normodotata a Disabile?
R: Devo ammettere che è stato uno shock e come scrivo nel mio libro … «Non distinguo la realtà dal sogno o meglio dall’incubo, i forti dolori alla testa, la cicatrice con il drenaggio per spurgare e i farmaci fanno il resto. Non riesco a essere lucida, brancolo nel buio, in una zona indistinta, una specie di limbo assoluto a sé stante e per la prima volta non riesco ad essere padrona di me stessa, non posso minimamente controllare gli eventi e non posso negare che il panico ha il sopravvento.». Comunque, a parte la prima fase di smarrimento, ho accettato ciò che mi era accaduto e da lì sono ripartita, non solo per recuperare fisicamente il più possibile grazie alla riabilitazione neurologica, ma soprattutto ho deciso di vivere la mia nuova situazione come un’ennesima sfida da vincere, da “brava sportiva”.D: Sulla base di questa tua esperienza qual è il tuo personale messaggio che potresti dare alla società per farle capire che la disabilità può giungere da un momento all’altro e che essere più attenti al D-Mondo significa sottoscrivere una polizza in grado di migliorare il proprio futuro?
R: Chi non vive la disabilità sulla propria pelle come esperienza diretta a volte non vede o non si sforza di vedere le continue barriere, soprattutto mentali, che spesso basterebbe poco ad abbattere. Ho perso amici, che forse non erano in grado di rapportarsi con una nuova Eleonora, ma ne ho incontrati e guadagnati altri mille, che mi hanno accolto in questa dimensione speciale. Non è facile far comprendere agli altri il vero significato del D-Mondo, ho molti amici entrati in questa realtà improvvisamente e in età adulta e ancora adesso alcuni non sono riusciti, non solo a reagire alle avversità del destino, ma neppure ad accettare tale condizione. Il percorso di sensibilizzazione è tuttora in salita, ma ognuno di noi ha l’obbligo morale e civile di contribuire a migliorare la società e io spero, nel mio piccolo, di fare la mia parte.
D: In questi giorni il tuo nome è molto presente nella “rete” grazie anche al tuo ultimo libro «Vita al rallenty», l’impressione è però che tu vada forte … Cosa racconti in questa tua ultima opera?
R: Il sottotitolo è “Viaggio attraverso la disabilità”, una sorta di diario autobiografico che accompagna chi lo legge lungo un percorso costellato da domande. Come è possibile reinventarsi una nuova vita dopo aver subito un intervento al cervello ed essere rimasti invalidi? Quali sono le difficoltà legate alla riabilitazione, alle barriere che crea la nostra mente e la burocrazia?«Il pregio di questo libro – secondo la casa editrice Aras – è di essere tante cose senza che il lettore se ne accorga, poiché prima di tutto è un incontro. Vi sembrerà di imbattervi per caso nell’autrice, magari in uno dei suoi tanti viaggi in treno, quando si sposta per fare riabilitazione e, in maniera casuale – forse semplicemente per passare il tempo – che si incominci a parlare dello scorrere della propria vita. Vi è mai capitato di inciampare in una conversazione? Ecco, leggere questo libro è una di quelle conversazioni che ci si porta dietro, che ci lascia con l’immagine di una scalinata verso il cielo, con il sapore di una crescita continua verso nuovi e insperati orizzonti…»
D: Essendo «Vita al rallenty» la tua ultima opera quali sono i libri precedenti e di cosa trattavano?
R: Prima sono stati pubblicati dalla casa editrice Besa “Viaggio al buio, diario di viaggio sulla Via della Seta” e “Mezzaluna a rovescio, tour del Mediterraneo alla vigilia della Primavera araba”, dove racconto le mie esperienze di viaggiatrice anarchica, mossa dall’istinto, dalla curiosità e dalla voglia di conoscere realtà diverse vivendole da vicino, viaggi on the road, scansando percorsi organizzati e preferendo sempre la dimensione umana dei luoghi scoprendoli fin quanto possibile con mezzi di trasporto insoliti. All’epoca ero “normale” (secondo i canoni di questa società), ma hanno visto la luce dopo l’intervento al cervello, per dimostrare, in primis a me stessa, che potevo trovare un modo nuovo di esprimermi. Il filo rosso che li collega, la tematica di fondo che accomuna i libri è l’accettazione prima di tutto e, in seguito, l’accoglienza dell’altro, delle persone diverse da noi, che lo siano per cultura, per religione, razza, orientamento sessuale e/o aspetto fisico. Apparteniamo tutti al genere umano e come tali, dobbiamo essere rispettati e rispettare.
D: Uno dei temi che ti sta più a cuore è la sessualità dei Disabili spesso non vissuta o vissuta male. Mi dicesti che dopo l’operazione che ti rese Disabile tutti si preoccupavano di tutto per il tuo benessere ma nessuno percepiva che Eleonora, e la sua femminilità, dovevano anche riscoprire la sfera sessuale-affettiva. Dando per certi gli italici tabù, a cosa attribuisci questo atteggiamento cieco nei confronti di una necessità che è la vita sessuale dei Disabili?
R: Inizialmente, da parte dei pazienti, dei medici e dei terapisti viene data priorità alla riabilitazione delle funzioni fondamentali, condizione questa propedeutica ad affrontare ulteriori e non meno importanti aspetti della qualità della vita. Purtroppo, però, tra tutte le figure professionali esistenti nel campo socio-sanitario non viene mai menzionato o preso in seria considerazione il profondo significato che ha per una persona disabile vivere una vita piena e gratificante dal punto di vista affettivo, sentimentale e/o sessuale. Cosa vuol dire conseguire quella sicurezza e autostima per avviare nuove relazioni o semplicemente ritrovare un buon equilibrio psichico per stabilire un approccio facilitato con l’altro sesso. Quando i tempi della riabilitazione sono maturi, infatti, il problema della sessualità viene affrontato con difficoltà o non affrontato del tutto. Alla base di ciò, secondo me, vi è la mancanza di cultura e/o attenzione al problema da parte di medici e terapisti da un lato, ma spesso anche i pazienti non chiedono e i terapisti o i medici non propongono.
Credo, ma non posso esserne certa, che trovarsi disabili dopo un evento traumatico o nascere con disabilità significhi affrontare questo problema con prospettive differenti; in entrambi i casi si deve però riconoscere una matrice comune di umanità e dignità, per accorgerci di avere molti elementi di similitudine da cui partire e per renderci conto di quante conoscenze già possono essere a nostra disposizione per non negare un diritto fondamentale, qual è quello della sfera sessuale.
Nel libro parlo del rapporto con il mio corpo in maniera libera e della percezione della disabilità nell’altro, che in alcuni casi si traduce in imbarazzo, in altri in curiosità morbosa. Scelgo di mettere al primo posto me stessa senza mai arrendermi per volermi bene e piacermi, anche quando non riconosco quasi più il mio corpo riscoprendomi poi bella e attraente. È ora che si smetta di considerare il “diversamente abile” come una persona asessuata, angelicata, la sfera sessuale è parte integrante di ogni essere umano, uno dei bisogni primari della persona. Di questa cecità credo abbia gran parte colpa la nostra educazione ad impronta cattolica e la Chiesa finora non ha fatto granché nella direzione di riconoscere tale diritto.
D: Si parla molto di Assistente Sessuale grazie alla battaglia che sta conducendo Max Ulivieri per fare riconoscere questa figura professionale a livello istituzionale. Qual è il tuo pensiero al proposito?
R: Ad aprile 2015 ho partecipato a Bolzano ad un Convegno dal titolo “Sessualità e disabilità”, dove ho avuto modo di conoscere personalmente Max Ulivieri e Fabrizio Quattrini, sessuologo, che portano avanti attraverso il LoveGiver Tour questa battaglia di cui tu parli. Cito le sue parole: «Cercavo sesso per riconquistare parti di me, la mia autostima e sicurezza. Per comprendere chi ero diventato. Volevo sesso, ma in realtà cercavo solo amore. Mi serviva il contatto con l’altra persona, avevo bisogno di “vedermi riflesso in qualcun altro”, sentirmi appetibile e accettato da una donna come dalla società. Difficile trasmettere quel senso di solitudine che, pur tra amici e conoscenti, ti fa sentire un essere a parte: non sei un pezzo della società ma qualcosa di alieno.».
Io credo sia giunto finalmente il momento di affrontare questa tematica anche in Italia, che rispetto a molti Paesi europei, in cui è già riconosciuta da anni, si stenta anche solo a parlare di questa figura professionale e spesso viene scambiata come una prostituta.
D: Dovendo fare i conti con la realtà e dando per scontato, purtroppo, che l’Assistente Sessuale non è in grado di garantirci che, conosciuto il nostro corpo, qualcuno si innamori di noi, quale può essere il “dopo consapevolezza”? Chiarisco: in un Italia ipocrita e bigotta che non mette fuori legge la prostituzione ma persegue eventuali suoi fruitori come può un disabile soddisfare le sue pulsioni? Dobbiamo anche tener presente che, secondo la proposta italiana, l’Assistente Sessuale non potrà esercitare un rapporto completo essendo il suo solo un ruolo propedeutico che si ferma alla masturbazione della persona Disabile. E poi ancora, come può esserci reale “consapevolezza” se non si sperimenta il rapporto nella sua completezza e quindi penetrazione inclusa?
R: Credo nessuno possa garantire, che dopo aver conosciuto il nostro corpo, qualcuno si innamori di noi come persona e ciò vale altrettanto per chi si considera “normale”. Siamo noi a doverci voler bene: questa è la prima regola per sentirsi amati e poter amare. Prendersi, perciò, cura di sé in tutti i modi, farsi corteggiare e cercare di conquistare. Uscire e fare vita “mondana”, non nascondersi per paura di sentirsi inadeguati o giudicati: se si dimostra sicurezza nei rapporti sociali non ci si può sentire mai soli. Può essere utile usare l’arma dell’autoironia: scherzare su se stessi e sulle proprie difficoltà a volte può portare al sorriso. Questi sono solo alcuni dei suggerimenti prima di intraprendere una relazione affettiva e sessuale appagante, perché prima di tutto siamo noi a doverci accettare.
So che la legge italiana prevede l’esclusione dei rapporti completi, ma questo avviene anche in quasi tutti i Paesi europei: penso però che questo sia un primo passo doveroso affinché si riconosca il diritto alla sessualità. Riporto le parole della sessuologa Giuliana Proietti: «La terapeuta sessuale non è una figura erotica, ma utile a persone che possono riscoprire il proprio corpo come fonte di piacere e non solo di sofferenza e di disagi quotidiani, attraverso il contatto, le carezze, il massaggio, gli abbracci, i giochi erotici o anche semplicemente la presenza, l’affetto e l’umanità.».
Non finisce qui
La seconda parte dell’intervista la potrete leggere venerdì prossimo sempre sulle pagine di Disabili DOC.
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