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Come vedono i Disabili i bambini?

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L’ingenuità e la mancanza di sovrastrutture mentali porta a reazioni sincere e spontanee nei confronti dei Disabili. Sono sempre positive? Se sì, perché?

Il video che potete vedere in apertura è stato realizzato dall’associazione francese Noémi che da anni si occupa di Disabili e di tutti quei problemi legati al vivere disabilmente. Il video è stato realizzato mettendo alla prova le reazioni di genitori e figli, divisi da un separè, che dovevano imitare gli attori presenti nel video. Adulti e bambini dovevano quindi riprodurre le smorfie e i gesti che avrebbero visto fare dai protagonisti del corto.

Tutto fila liscio sino a quando la protagonista non diventa una ragazza Disabile che, come tutti gli altri attori, esegue gesti da imitare. I bambini lo fanno e si infilano anche loro il dito nel naso mentre gli adulti, attoniti, restano a guardare.

Il video non dimostra sostanzialmente che i bambini sono migliori dei grandi. Essenzialmente attraverso un gioco i più piccoli non si bloccano di fronte a una figura che si presenta in maniera dissimile rispetto a chi l’ha preceduta.

Il bambino non ha una visione migliore della disabilità di quanto possa averla il genitore. Semplicemente può essere ancora immune da influenze esterne che gli sottolineano la diversità della natura umana, quella stessa diversità che rende il Disabile fisicamente e dinamicamente caratterizzato se non anche intellettivamente.

Anche fra i bambini vi è diversità qualitativa, vi è il bambino di larghe vedute e vi è il bambino che guarda il mondo con gli occhi ottusi dei genitori. Sono infatti i genitori a essere protagonisti dell’evoluzione intellettuale e culturale delle nuove generazioni. I figli guarderanno i Disabili o come gli verrà detto di guardarli o come gli sarà concesso di guardarli.

Nel primo caso il genitore è di aiuto al figlio facendogli comprendere che a dispetto di una differenza sostanziale nel corpo o nella mente il coetaneo è comunque un suo pari con il quale può giocare e condividere la propria vita. Il bambino crescerà con una visione aperta e con una disponibilità a socializzare con l’amichetto o l’amichetta Disabile senza alcun problema.

Nel secondo caso invece il bambino potrà essere condizionato. Solitamente non è un condizionamento positivo altrimenti saremmo rimasti nell’ambito della prima ipotesi. Quello che accade è che l’adulto agisce in base a quello che egli stesso ha appreso relativamente al mondo della disabilità: solitamente niente.
Non sono rari i casi in cui i genitori, o i nonni, rimproverano il bambino perché si avvicina a un Disabile in carrozzina o comunque a un Disabile. Chi ha frequentato il D-Mondo sa bene quanti episodi vengano raccontati dai Disabili relativamente al dispiacere di vedere un bambino richiamato all’ordine, e quindi allontanato da loro, perché l’adulto gli inculca la paura – giusto per stare tranquilli – di essere infettato da quella particolare condizione che viene enfatizzata come malattia.

I bambini quindi non sono migliori degli adulti. Semplicemente vi sono bambini fortunati nati in seno a famiglie formate da genitori intelligenti e bambini meno fortunati perché appartenenti a genitori stupidi, ignoranti come gli eventuali nonni che li hanno cresciuti ed educati.

La qualità comportamentale delle nuove generazioni non risiede negli ingenui atteggiamenti di un bambino che non ha ancora sviluppato una visione maliziosa della vita. La vera qualità comportamentale dipenderà da come noi educhiamo i nostri figli e da quanta qualità comportamentale abbiamo assunto in funzione dell’educazione che ci è stata data.

Il futuro non è quindi nelle mani dei bambini ma è nella mani degli educatori.

La triste chiosa è che la società ha già fallito. Nel 2015 si stanno facendo ancora discorsi intellettuali sulla visione di chi indossa la condizione del Disabile. Ciò significa che i decenni trascorsi non hanno insegnato alcunché.
Teniamo ancora presente che retrocedendo di tre generazioni facciamo i conti con chi ha visto nascere la disabilità sotto i bombardamenti del secondo conflitto mondiale. Un evento storico che generò decine di migliaia di Disabili che andarono a modificare la vita sociale di molte famiglie che, però, in gran parte non seppero trasmettere alla generazioni successive il sentimento dell’uguaglianza.

Fallirono anche i teorici che ingegnerizzarono l’integrazione forzata del Disabile nelle scuole pubbliche.

Solo un fattore risulta vincente ed è il comune denominatore di ogni reale e positivo progresso: l’intelligenza. La stessa che determina la differenza qualitativa fra un educatore “evoluto” e quello che vede ancora oggi i soggetti Disabili come portatori di una ebola inesistente.

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