La storia di una donna Disabile, la storia di “Bella a metà”, la storia di chi vince le avversità anche e soprattutto per cogliere i frutti dell’amore: irrinunciabile ingrediente di una vita completa.
Dopo l’esordio di lunedì con la prima parte dell’intervista ecco a voi la seconda nella quale Vanna Menegatti continua a essere protagonista della sua storia ma anche “Protagonista” su Disabili DOC.
Fra lo scorso lunedì e oggi non abbiamo solo conosciuto Vanna ma abbiamo anche potuto leggere l’intervista rilasciataci dal marito Moreno, ingrediente primario della vita felice di Vanna. Nel caso vi foste persi l’intervista del nostro “eroe romantico” vi consigliamo di leggerla perché completa il quadro di una storia veramente bella; quella di una “Bella a metà” a cui semplicemente toglierei la “metà” in quanto tutto ciò che è Vanna è bello.
Buona lettura, ma soprattutto fate tesoro di un racconto importante che certamente suggerirà spunti di riflessione estremamente importanti e ancora oggi attualissimi.
D: Con Moreno arrivò anche la maternità. Mi ricordo alcuni tuoi racconti che mettevano in evidenza come ti sconsigliassero di diventare mamma. Il tuo desiderio di maternità era però tanto grande da rischiare. Cosa significò questa ulteriore vincita per te e a questo punto anche per Moreno?
R: Da piccola desideravo marito e figli, da grande le storie d’amore sbagliate mi fecero dubitare di poter incontrare un compagno degno di fare il padre, una gravidanza interrotta mi aveva dato la certezza di poter procreare e il timore di non avere altre opportunità.Qualcuno, parlando di genetica, aveva aggiunto qualche preoccupazione sconsigliandomi di avere figli … quante cose si dicono per saccenza o per ignoranza… il desiderio di maternità ha vinto su ogni paura.
Il rapporto tra me e Moreno è stato dall’inizio un rapporto di sincerità, entrambi autonomi vivevamo soli, avevamo alle spalle diverse esperienze e chiari progetti per il futuro tra i quali avere dei bambini. I figli desiderati arrivarono subito e come in tutte le famiglie che si rispettino più di una volta ci misero a dura prova, con un notevole aumento delle cose da fare e impegni da seguire ma anche grazie al lavoro su turni di Moreno è stato possibile farcela ad allevarli con le sole nostre forze; non avevamo nonni su cui contare, i miei dovevano seguire mio fratello con sindrome down e i genitori di Moreno abitavano in Sardegna.
D: Facciamo ora un passo indietro. Torniamo al momento in cui tu e Moreno vi innamoraste. Molte volte l’unione fra un Disabile e una persona normodotata va in frantumi, o neppure inizia, per l’ostracismo degli suoceri. Com’è stato l’impatto con la famiglia di Moreno?
R: Gli suoceri sono persone importanti alle quali si deve voler bene perché senza di loro non esisterebbe il compagno amato ma la prima esperienza suoceri era stata per me deleteria, perciò allungai il più possibile il momento della conoscenza e non fu difficile poiché la famiglia di Moreno viveva in Sardegna. Prima o poi dovetti affrontare questo incontro: mi sentii accolta e accettata da subito senza limiti.
D: “Bella a metà” sei tu, è la tua vita o quanto meno la parte che arriva alla vittoria. “Bella a metà” come ho detto prima l’ho sempre percepito come un romanzo che risultasse come un inno al desiderio di amare e di essere amati. Qual è il consiglio che Vanna Menegatti può dare al popolo dei Disabili che spesso si fa intimorire dalla paura di dichiarare i propri sentimenti?
R: Provare amore per una persona è la cosa più bella che possa capitarci e sarebbe uno spreco non dichiarare questo sentimento. Se la persona è quella giusta saprà corrispondere e il sentimento si rafforzerà negli anni.
Il treno della vita corre veloce e bisogna esser pronti a salire quando passa, se il vagone non è quello giusto non disperate continuate a credere in nuove opportunità.
D: Per motivi di romanzo si parla molto di “Bella a metà”. Io conosco la tua storia e conosco te come anche la tua famiglia. Per me tu sei semplicemente “Bella” in quanto donna vincitrice dei propri desideri e delle proprie mete. Non riesco a percepirti come Disabile. Però, come me, lo sei. Come hai vissuto nelle varie epoche della tua vita, dallo studio al lavoro, la tua disabilità?
R: Molte sono state le difficoltà nell’inserimento scolastico; le scuole soprattutto per via delle numerose barriere architettoniche, tendevano a non accettare i portatori di handicap che venivano ghettizzati in scuole speciali. Tuttavia le elementari le feci alle scuole comuni dove la maestra non perdeva occasione per ricordare alle compagne che la nostra classe era al piano terra per colpa mia. Rigorosamente veniva chiesto a mia madre di non mandarmi alle gite di classe, i progetti scolastici non esistevano e le lezioni le trovavo estremamente noiose e poco coinvolgenti, ricordo con piacere le recite scolastiche e la ginnastica in palestra fatta dall’insegnante dove lo specialista era il disco ma accidenti, nonostante ce la mettessi tutta mi beccavo sempre quel “sei” di consolazione!
Le medie le feci in una scuola speciale per motulesi. I professori, forse più preparati a lavorare con persone con problemi, riuscirono a farmi piacere la scuola, i voti migliorarono, ero tra le più brave, grazie al prof. d’italiano cominciai a scrivere poesie, qualcuna di quelle fece parte del mio primo libro pubblicato all’età di 24 anni.Alle superiori le prime erano tutte all’ultimo piano senza ascensore e mio padre dovette andare a discutere con il preside dell’Istituto Magistrale affinché la mia classe venisse spostata al piano terra. Per questo venni subito malvista dall’insegnante-vicepreside che non voleva far le scale per passare da una classe all’altra, come se non bastasse per accettarmi obbligarono mio padre a firmare un’illegale dichiarazione che mai avrei fatto l’insegnante. La stessa professoressa, dopo un’interrogazione andata a male, mi umiliò di fronte ai compagni invitandomi a cambiar scuola perché tanto non avrei mai potuto insegnare e qualche anno dopo mi bocciò. Così decisi di andare a lavorare continuando il mio ciclo di studi alla scuola serale.
Iniziai a lavorare come impiegata nella ditta dove lavorava mio padre, assunta come collocamento obbligatorio. In Fiat Aviazione ho lavorato per 26 anni cercando di farmi piacere il lavoro al quale sono grata per l’indipendenza economica che mi ha dato. Non ho fatto carriera, non ho mai avuto aumenti ed ho dovuto discutere per ottenere lo scatto spettante dal diploma magistrale che non volevano riconoscere perché non inerente all’attività lavorativa.
D: I lettori di Disabili DOC avranno già percepito che sono un tuo fan per quanto hai saputo costruire nella vita. Quali sono i progetti di Vanna oggi?
R: Dopo 26 anni di lavoro impiegatizio ho iniziato a fare la maestra. Quest’anno sono al 12° incarico, ancora una volta ho scelto il sostegno, campo nel quale ho acquisito maggior esperienza e mi sento nel giusto posto.
I piccoli progressi degli alunni in difficoltà sono state sempre grandi vittorie, qualche cosa di speciale mi lega a loro, con percorsi facilitati si arriva ad obiettivi comuni, è importante far emergere le abilità che ci sono dentro ad ogni bambino.
Ogni anno il percorso scolastico nasce da un rapporto di fiducia e collaborazione insegnante-alunni-genitori ed ogni hanno ho la sensazione che i bambini in difficoltà, vedendo la mia diversità pensino: “anch’io ce la posso fare!”.
Il mio progetto è quello di sempre: vivere alla giornata quanto la vita mi offre, vivere in armonia con la mia famiglia, godermi il lavoro e fare tanti viaggi con Moreno sulla nostra moto a tre ruote che ci vede fidanzatini per il mondo.
C’è ancora tanto mondo che ci aspetta; viaggiare allarga la mente.
D: Come Disabile, come donna, come moglie, come madre e come maestra cosa vorresti dire ai nostri lettori affinché possano comprendere i passaggi, anche non sempre facili, di una vita che ha saputo raggiungere il proprio successo perché è riuscita a coronare molti dei propri desideri?
R: Negli anni è cambiata la terminologia: dall’invalido, handicappato, al diversamente abile…
Sempre si tratta di persone umane con pregi e difetti che crescendo devono imparare ad amarsi e ad accettarsi come sono, certo tutto sarà più complicato da affrontare rispetto alla norma ma le difficoltà, quando non si possono eliminare, devono aiutarci a crescere perché la vita, se presa con fiducia, è il viaggio più bello che possa capitarci ed anche il diverso deve saper mettersi in gioco, cercando dentro sé quelle diverse abilità che lo renderanno felice. Ogni essere aldilà della disabilità è unico. La disabilità non deve farci sentir soli perché ogni uomo nella sua vita avrà a che fare con la disabilità e affinché questa sia più sopportabile è giusto accettarsi e volersi bene ognuno con le proprie diversità.
D: In conclusione, ci prometti di tornare su Disabili DOC?
R: Quando vuoi, sarà un piacere.
Grazie Vanna
Ringrazio Vanna per la bella intervista e mi auguro che possa partecipare attivamente alla vita di Disabili DOC portando su queste pagine l’esperienza coltivata sul terreno della disabilità e vissuta in maniera positiva per ottenere il massimo da quelle che solitamente definiamo capacità residue.
Se tutti i Disabili – e fra essi mi ci metto anch’io – avessero avuto il coraggio di osare come ha osato Vanna avrebbero vissuto una vita di maggiore qualità e più ricca di gioia.
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